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L’ecologia marina studia le interazioni tra gli organismi marini e l’ambiente in cui vivono, facendo luce sui processi biologici coinvolti attraverso osservazioni a livello biochimico, cellulare, individuale e di comunità. È una scienza interdisciplinare che include la biologia, la geologia, la chimica, l’oceanografia, la geofisica, e la statistica. Gli ecosistemi marini sono molteplici, spaziando da quelli superficiali influenzati dalla luce del sole (zona eufotica, fino a circa 150-200 m di profondità nelle acque più limpide), a quelli profondi dove la luce proveniente dalla superficie è minima (zona oligofotica, entro i 1000 m) o assente (zona afotica, al di sotto dei 1000 m). A seconda della loro strategia di vita e posizione nella colonna d’acqua, gli organismi possono distinguersi in pelagici, ovvero organismi che vivono o si muovono liberamente nella colonna d’acqua, e organismi bentonici, che vivono cioè in stretta associazione con il fondale. Tra questi ultimi, vi è la meiofauna, una comunità di animali di dimensioni microscopiche (500-30 μm) che popola i fondali marini di tutto il mondo. Ventiquattro dei 35 phyla animali hanno almeno un rappresentante all’interno della meiofauna, che, grazie alla notevole abbondanza e diversità, al rapido ciclo di vita e all’elevato tasso metabolico, contribuisce in modo significativo ai processi e al funzionamento degli ecosistemi marini. Inoltre, alcuni taxa della meiofauna hanno mostrato di potere essere utilizzati efficacemente nell’ambito della valutazione della qualità ecologica dei sedimenti marini, in accordo con le Direttive Europee (2000/60/CE e MSFD 2008/56/CE). Anche le praterie di Posidonia oceanica e il coralligeno hanno una notevole importanza ecologica nel Mar Mediterraneo, perchè caratterizzati da un’elevata biodiversità. Le praterie di Posidonia oceanica costituiscono un complesso ecosistema in termini di ricchezza, di interazioni biotiche (es. area di pascolo, di riparo e di riproduzione per molte specie) e di difesa naturale delle coste dall’erosione, attenuando il moto ondoso. Il coralligeno è un altro ecosistema strutturalmente complesso, composto da organismi che producono strutture di carbonato di calcio (es. coralli, briozoi, alghe calcaree) e che mostrano una crescita lenta e bassi tassi di reclutamento, rendendo questo ecosistema particolarmente vulnerabile a fattori di disturbo naturale e antropico. Entrambi questi ecosistemi mediterranei sono fortemente minacciati da fattori di stress locali e globali, come lo sviluppo costiero intensivo, l'inquinamento, le specie invasive, le pratiche di pesca insostenibili e i cambiamenti climatici. In particolare, il riscaldamento globale e l’acidificazione dei mari sono considerati tra i principali rischi per gli ecosistemi marini. Determinare l'impatto delle attività umane sull'ecologia marina è un aspetto fondamentale per una corretta valorizzazione, conservazione e gestione delle risorse naturali marine e dei servizi ecosistemici che offrono alle popolazioni umane.
Nel Mar Mediterraneo, i mari sub-regionali e le aree costiere hanno diversi regimi idrografici e climatologici. Queste differenze implicano condizioni trofiche e produttività diverse, così come la struttura e le dinamiche delle comunità fitoplanctoniche. In un sistema oligotrofico, come il Mar Mediterraneo, la produttività costiera dipende in gran parte dagli input di fiumi e aree ad alta produttività che sono principalmente limitrofe a input fluviali. Gli ecosistemi costieri condizionati da input di nutrienti di natura antropogenica possono essere influenzati dalla variabilità idrografica e da condizioni locali che causano pattern sito-specifici. Mentre è noto che drivers ambientali possono selezionare la diversità e funzionalità delle comunità fitoplanctoniche, le attività antropiche e i cambiamenti climatici sono ora i nuovi drivers che possono determinare significativamente il funzionamento di ecosistemi costieri ed off-shore.
Lo studio della composizione della diversità del fitoplancton e delle sue fluttuazioni nel tempo e nello spazio sono di fondamentale importanza al fine di valutare le conseguenze di perturbazioni antropiche agli ecosistemi marini. Le analisi della diversita’ e struttura delle comunità fitoplanctoniche, incluse le specie HAB (harmful algal blooms), sono effettuate attraverso l’applicazione di metodi innovativi integrati basati su sequenze geniche fingerprinting e analisi statistiche avanzate. La conoscenza della diversità, struttura e variabilità degli organismi fitoplanctonici in relazione a fattori ambientali e pressioni antropiche è utile per comprendere i cambiamenti climatici e/o le alterazioni in atto sulla funzionalità della componente planctonica che è alla base delle reti trofiche marine. Approcci innovativi basati su metodiche molecolari (qPCR, metabarcoding, microsatelliti, SNPs) sono utilizzati per l’analisi della diversità genetica di specie e struttura dei popolamenti fitoplanctonici in funzione di aree geografiche, parametri ambientali o di pressioni antropiche.
Lo studio della dinamica dei nutrienti lungo la fascia costiera è attuato anche in relazione agli apporti fluviali locali e del bacino padano con attività frequente di monitoraggio. Le serie temporali permettono di comprendere il ruolo del Mare Adriatico in relazione alle pressioni antropiche e ai cambiamenti climatici attraverso lo studio multidisciplinare di processi biogeochimici, idrologici ed ecologici.
Le risorse ittiche sono una componente molto importante degli ecosistemi marini. La loro abbondanza è regolata da diversi meccanismi, tra i quali la predazione, l’influenza delle variabili ambientali e l’attività di pesca. La valutazione delle risorse ittiche, o stock assessment, è la scienza che si occupa di studiare lo stato di una risorsa ittica e investigare possibili strategie di gestione (Musick and Bonfil, 2005). Per fare ciò è necessario sviluppare dei modelli, definiti modelli di dinamica di popolazione, che permettono di stimare la biomassa in mare e definire dei livelli di riferimento sui quali valutare se la risorsa è sovrasruttata o meno. Successivamente è possibile testare diverse opzioni di gestione, in modo da indirizzare la gestione della pesca verso una strategia sostenibile sia per la risorsa ittica che per l’attività di pesca stessa. Questa scienza si è sviluppata a partire da metà del ventesimo secolo; inizialmente i modelli erano molto semplici, tenevano in considerazione solo dati di cattura e di sforzo, ma con il progredire degli anni e delle capacità di calcolo dei computer si sono potuti sviluppare modelli complessi, in grado di considerare diverse fonti di dati, così come includere vari aspetti statistici (Quinn, 2003). In anni più recenti, è emersa la necessità di includere in questi modelli non solo aspetti legati alle specie oggetto dell’attività di pesca, ma anche aspetti legati alla protezione dei loro ecosistemi e aspetti socio-economici. Si è così sviluppato l’Ecosystem-Based Fisheries Management (EBFM), che ha l’obbiettivo di (i) evitare la degradazione degli ecosistemi, (ii) minimizzare il rischio di cambiamenti irreversibili per la composizione naturale delle specie e per i processi ecosistemici, (iii) ottenere e mantenere benefici socio economici a lungo termine senza compromettere l’ecosistema, (iv) generare conoscenze sui processi ecosistemici sufficienti a comprendere le probabili conseguenze delle azioni umane (Pikitch et al., 2004).
In Mediterraneo, le valutazioni delle risorse ittiche delle specie commerciali più importanti vengono presentate annualmente alla General Fisheries Commission for the Mediterranean (GFCM - FAO), mentre diversi sono gli studi riconducibili alla tematica dell’EBFM.
L’antropologia molecolare è la disciplina che studia l’evoluzione biologica delle popolazioni umane mediante l’analisi del loro DNA. L’analisi del DNA, sia ricavato dai resti biologici delle popolazioni vissute in passato che dal campionamento di popolazioni attuali, consente di ottenere informazioni su eventi avvenuti in tempi anche molto antichi. Nel processo di differenziamento delle popolazioni umane, il ruolo dell’ambiente (dieta, clima e agenti patogeni) è stato fondamentale, influenzando la variabilità genetica attraverso l’azione della selezione naturale e la variabilità epigenetica attraverso cambiamenti rapidi e reversibili che non alterano la sequenza nucleotidica (Giuliani et al., 2015).
L'interazione dell’uomo con il mare è una storia lunga, iniziata agli albori della nostra evoluzione e proseguita fino ad oggi con migrazioni ed attività lungo le coste per sfruttare le più accessibili risorse marine. In particolare, il mare Mediterraneo rappresenta da millenni, per le popolazioni che vi si affacciano, una fondamentale risorsa per l’approvvigionamento di cibo, attraverso lo sfruttamento delle risorse marine, e racconta una lunga storia di attività di pesca, di sistemi di navigazione, di lavorazione e conservazione di particolari prodotti ittici.
Durante l’evoluzione della nostra specie, la dieta “costiera” (Tattersal, 2014), a base di pesce, altri organismi marini o di acqua dolce come crostacei, molluschi, alghe e piante acquatiche, non solo potrebbe aver rappresentato una sorta di preadattamento alle aumentate esigenze nutrizionali del cervello, ma ha esercitato, in alcune popolazioni, una pressione selettiva in grado di favorire la diffusione di determinate varianti genetiche. Altre ricerche hanno dimostrato inoltre come i nutrienti presenti nei prodotti ittici siano in grado di indurre cambiamenti nell’epigenoma (Hussey et al., 2017; Lau et al., 2019).
Attualmente il consumo di prodotti ittici è in aumento sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo (da 9 a 20.2 kg pro-capite nel periodo compreso tra il 1961 e il 2015, fonte FAO, 2018), con i paesi europei del Mediterraneo tra i principali consumatori e con Spagna, Italia e Francia che coprono più della metà dei consumi europei (EUROSTAT, 2014). Tuttavia, anche i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, tradizionalmente beneficiari degli effetti derivanti dall’aderenza alla dieta mediterranea, a partire dalla rivoluzione industriale e in maggior misura dal secondo dopoguerra, hanno arricchito la loro dieta di acidi grassi saturi e zuccheri semplici, impoverendola di acidi grassi essenziali, carboidrati complessi e fibre (Rotilio, 2016), influenzando l’incidenza di molte malattie croniche, tra cui diabete, malattie cardiovascolari, obesità e tumori, soprattutto nelle popolazioni geneticamente predisposte (Sazzini et al, 2016).
Nonostante si conosca l’effetto benefico della dieta a base di prodotti ittici per il loro apporto di ω-3, esistono numerosi contaminanti nell'ambiente marino che destano preoccupazione sia dal punto di vista ambientale che da quello della salute pubblica. E’ noto come si possa verificare bioaccumulo in un organismo, nonostante i livelli ambientali della tossina non siano particolarmente elevati, causando così un maggiore rischio di avvelenamento cronico.
L’interesse del gruppo di ricerca di antropologia molecolare in questo ambito riguarda lo studio della variabilità genetica ed epigenetica di comunità di pescatori presenti sulle coste italiane, con tradizione di attività di pesca da generazioni.
Attraverso questi studi sarà possibile non solo ricostruire la storia demografica di queste comunità costiere, ma, attraverso una dettagliata raccolta di questionari su storia familiare, stile di vita, dieta a base di prodotti ittici, documentazione video-fotografica e dati climatici, cercare di comprendere la complessa interrelazione tra background genomico e ambiente.