Farmaci, nutrienti e nuovi principi attivi ottenuti e/o derivati da organismi e microorganismi marini

Docenti e ricercatori di riferimento

Mauro MagnaniMilva Pepi - Laura Pezzolesi - Rossella PistocchiFrancesco Regoli - Mara Simonazzi

L’enorme biodiversità degli organismi marini e la disponibilità di un crescente patrimonio di informazioni genomiche, proteomiche, metabolomiche, lipidomiche, ecc rappresentano una risorsa formidabile per identificare nuove molecole e nuovi potenziali impieghi delle stesse. Sino ad oggi molta dell’attenzione era diretta all’isolamento di piccole entità chimiche, isolate da organismi marini, che potessero rappresentare direttamente o indirettamente lead compounds utili a fini terapeutici per trattare malattie tumorali e/o infiammatorie o metaboliche. La nostra proposta parte invece dalla possibilità di utilizzare le informazioni contenute nel genoma di diversi organismi marini per realizzare dei farmaci biologici o nuovi trattamenti terapeutici. L’esempio può essere rappresentato da una alga verde (Anabaena variabilis) che contiene un gene (Phenylalanine Ammonia Lyase) che codifica per un enzima capace di degradare l’aminoacido Phe (il metabolita tossico in un difetto genetico nell’uomo noto come Phenylketonurea). Questo gene non è presente nel genoma umano. Partendo dalla sequenza di questo gene è stata prodotta la corrispondente proteina ricombinante espressa in batteri. Questa proteina è stata poi somministrata ad un ceppo murino che rappresenta l’analogo del difetto umano. La somministrazione è avvenuta dopo aver incapsulato l’enzima ricombinante all’interno dei globuli rossi degli stessi animali. Somministrazioni ripetute hanno permesso di correggere il difetto metabolico e normalizzare anche fenotipicamente il quadro clinico della malattia.

Questo approccio sarà esteso ad altre condizioni. Le applicazioni possono riguardare altre malattie genetiche su base metabolica ma anche trattamenti finalizzati alla degradazione di metaboliti tossici come prodotti secondari. Infine lo stesso approccio può rappresentare il punto di partenza di processi industriali in vari settori.

Microalghe

I metaboliti secondari ottenuti da organismi vegetali terrestri sono da tempo impiegati come importante risorsa di farmaci per il trattamento di diverse patologie o infezioni. Più recentemente l’ambiente marino ha riscosso sempre maggiore interesse data l’enorme varietà di organismi animali e vegetali che lo popolano. Infatti negli oceani vivono milioni di specie animali e vegetali diverse da quelle terrestri e rappresentano, quindi, una fonte ricca e non ancora sfruttata di composti biologicamente attivi, ma anche di nuove vie biochimiche tuttora sconosciute. Ad esempio, un gran numero di molecole bioattive isolate da fonti marine sono candidati promettenti per estese valutazioni precliniche nel trattamento di diverse degenerazioni patologiche ed alcune di esse sono utilizzate in studi clinici per la cura del cancro.

La maggior parte delle molecole naturali marine sono prodotte da invertebrati come spugne, coralli, ascidie e briozoi, o da alghe ed appartengono a diverse classi strutturali come polieteri, terpeni, alcaloidi, macrolidi, polipeptidi. Questi organismi durante la loro crescita molto spesso sono in grado di produrre un ricco pacchetto di molecole derivanti dal loro “metabolismo secondario”, che possono utilizzare come strategie chimiche durante il loro ciclo vitale, o come risposta a stress ambientali. Gli organismi infatti sviluppano una serie di adattamenti e comportamenti volti alla salvaguardia della specie, quali difesa dalla predazione o dalla proliferazione di specie competitive, talvolta coadiuvati dalle condizioni estreme dell’habitat, quali bassa o alta luce, alta pressione, temperature variabili, o poca disponibilità di cibo. La capacità di adattarsi all’ambiente risulta importante per gli organismi anche in vista dei futuri cambiamenti climatici.

A differenza delle risorse terrestri che sono considerate esplorate dal punto di vista farmaceutico e biochimico, meno dell’1% delle specie marine esistenti sono state esaminate riguardo il loro potenziale farmacologico, sono perciò di interesse per scienziati di diverse discipline come biologi ed ecologi, ma anche chimici organici, biochimici, o farmacologi.

I microrganismi marini, con il loro adattamento ad una moltitudine di condizioni diverse e talvolta estreme, hanno sviluppato innumerevoli vie metaboliche, comprese quelle per alcuni metaboliti secondari attivi e non presenti negli ecosistemi terrestri. Alcuni metaboliti secondari comprendono alcaloidi, steroidi, terpenoidi, peptidi e polichetidi. Alcuni ceppi di microrganismi sia procariotici, sia eucariotici, isolati dall'ambiente marino possono essere utilizzati in contesti biotecnologici, farmaceutici e terapeutici per la produzione di molecole dotate di proprietà antimicrobiche, antiossidanti, anti-angiogenesi, antidiabetico e altre proprietà biologiche rilevanti.

Risulta quindi di enorme interesse individuare nuovi farmaci e nutrienti a partire da microrganismi di origine marina, da prendere in considerazione anche in contesti di nutraceutica, per il miglioramento del benessere umano e nel pieno rispetto dei principi di sostenibilità. Saranno condotti studi su microrganismi di origine marina per individuare antimicrobici di nuova generazione, di nutrienti di origine marina, come chitosani e carragenine derivati da polisaccaridi di organismi marini. Riveste inoltre un alto interesse lo studio dei materiali esocellulari presenti nei biofilm di microrganismi marini (polisaccaridi, lipidi, glicoproteine e lipopolisaccaridi), da utilizzare come stabilizzanti, gelificanti, adesivi, agenti addensanti, emulsionanti, flocculanti e agenti detergenti.

L’individuazione di nuovi principi attivi in vari contesti, farmacologico, alimentare, cosmetico, etc. ottenuti e/o derivati da microorganismi marini, permetterà di aprire nuove linee di ricerca e di valorizzare materiali biologici ampiamente disponibili.

Biofilm di batteri di origine marina, con produzione di esopolisaccaridi (da Pepi et al., 2016 Science of the Total Environment 562: 588–595)